Ogni luogo non ha solo delle caratteristiche tangibili ma anche una stratificazione di sensazioni, sogni, tragedie e vicende individuali e collettive. Questi elementi sembrano radicarsi nelle aree nelle quali hanno trovato una loro collocazione temporale determinando un’anima che si insinua tra i sensi delle persone che le attraversano. Ed è così che alcuni “riconoscono” non tanto situazioni che hanno vissuto direttamente quanto piuttosto la sostanza di “storie anonime” che per motivi profondi toccano la loro sensibilità.

Ne Il vento quieto del mattino, Orith Youdovich si muove tra i viali e i giardini di Santa Maria della Pietà, l’ex manicomio di Roma ora trasformato in parco pubblico, percependo chiaramente la straziante sofferenza che questo spazio continua ancora ad emanare. La dimensione dell’universo concentrazionario destinato ai presunti malati psichici evoca con tutta evidenza altri universi concentrazionari che hanno drammaticamente segnato con la loro comparsa la storia del Novecento. L’idea della segregazione e la pratica della persecuzione, entrambe insensate, diventano così facce della stessa medaglia che lo sguardo di Orith Youdovich rielabora attraverso il suo personale sentimento della percezione, generando quella che potrebbe essere definita un’estetica dello straniamento individuale e del disagio sociale.